‘Tanto tuonò che piovve!’, recita un saggio e vecchio detto popolare.
E così è successo: fra tante illazioni, ostentate paure, ammiccamenti e occhiolini di ‘triglia’, l’”impossibile” (a parole) è avvenuto: il ‘giallo’ più il ‘rosso’ sono diventati compatibili!
Le infinite vie del cromatismo, dirà qualcuno…
No, o almeno non solo.
In questo caso, e parlo naturalmente del neonato Governo giallo/rosso, ci va di mezzo anche la dignità personale di chi lo ha pensato e proposto, ma anche di chi lo ha assecondato e di chi, secondo previsioni, lo confermerà votandolo a brevissimo.
La politica, si sa è di facili costumi per definizione, incline cioè ad abbracciare l’opportunismo più spietato senza tenere minimamente in considerazione, nei fatti, i nobili ideali che, peraltro, dovrebbero essere le colonne portanti di ogni partito o ‘movimento’ che sia.
Insomma, non c’è bronzo che tenga (parlo di facce, naturalmente): l’unico colore che davvero tiene banco è quello dell’aureo e dorato compenso (presente e futuro) reso più vivo e luccicante dal potere che ne deriva.
Certo, questo mio sfogo personale può sembrare di parte e magari ‘inquinato’ da quel senso dell’onore e del rispetto, un po’ retrò, che molti di noi si auguravano di incontrare nel corso del ‘cammin di nostra vita’.
Ma un interrogativo mi ronza come un tarlo nella mente, e riguarda la democrazia di cui ci riempiamo le bocche ma che poco ha a che vedere con gli atti che costellano giorno dopo giorno la nostra vita sociale.
Mi è rimasta cioè in mente, e forse anche a voi, una valutazione espressa alla fine del primo giro di consultazioni presidenziali dopo la salita di Giuseppe Conte al ‘Colle’. Fu allora che il portavoce presidenziale, fra le varie considerazioni di circostanza alla fine dei colloqui preliminari, riferì anche come il Presidente Mattarella, che stimo come persona e come uomo delle Istituzioni, avesse preso nota e quindi dovesse tenere in conto, della volontà espressa dai gruppi parlamentari con cui aveva colloquiato: cioè della loro contrarietà “ad elezioni anticipate”.
Sia chiaro, non sono un costituzionalista e non vorrei essere inteso come un disinformato critico di parte, ma un dubbio mi vien istintivo e dal profondo del mio senso dello Stato e del rispetto democratico: ma non è, o dovrebbe essere, il popolo “sovrano” a decidere dettando le linee della politica nazionale attraverso il proprio voto?
Davvero i cosiddetti rappresentanti del popolo possono decidere come e quando lasciare il ricco e privilegiato scranno che la rappresentatività popolare, attraverso il voto, ha consentito loro di occupare?
Senatori e deputati sono l’espressione rappresentativa del volere de popolo o la “casta” che, una volta insediata, decide al posto nostro esibendosi, laddove convenisse loro, in piroette e voltafaccia che nel mondo reale e quotidiano verrebbero bollate con epiteti che la decenza mi impone di tacere?
Io, e lo dico con forza e decisione, non mi sento rappresentato da politici e da istituzioni che possono fare tutto e il contrario di tutto infischiandosene senza pietà del mandato popolare di cui sono l’espressione e del quale, piaccia o no, sono, o meglio “dovrebbero” essere i rappresentanti e portavoce.
Altrimenti, sia chiaro, si diventa i portavoce di se stessi e dei propri immeritati privilegi!
Roberto Timelli