Imprevedibile, inalterabile, bizzarro, eccentrico, eternamente sorridente, per qualche mala lingua inaffidabile, l’ex senatore della Repubblica, Antonio Razzi, ha tuttavia lasciato a noi tutti qualche insegnamento e qualche elemento di riflessione che, confessiamolo, non ci saremmo aspettato.
Siamo andati a cercarlo riferendoci alla sua qualifica di Segretario della Commissione Permanente per gli Affari esteri e per l’Emigrazione che ha avuto nel precedente Governo, e gli abbiamo chiesto, senza mezzi termini, di chiarirci, dal di dentro, l’atteggiamento operativo del nostro Paese e in particolare delle ambasciate italiane in relazione alle ormai frequenti trasmigrazioni di uomini e imprese verso i Paesi dell’Est Europa.
D. A proposito delle ambasciate italiane all’estero, oltre alle varie funzioni di rappresentanza politica che svolgono, quanto è attivo il loro ruolo per gli scambi commerciali ed economici con il nostro Paese?
Razzi. Sarebbe sicuramente fondamentale. Dico ‘sarebbe’ perché mi pare evidente che non assolvano con efficacia questo compito. A dimostrazione dell’assunto è il fondamento della sua stessa domanda. A mio parere il difetto sta nell’errata convinzione che i nostri diplomatici hanno del concetto stesso di diplomazia. Mi spiego meglio. Un conto è essere politically correct per evitare un conflitto atomico ed incidenti diplomatici, un altro conto è trincerarsi dietro le cravatte senza metterci volontà e passione anche se poi, in definitiva, è l’Istituto del Commercio con l’Estero l’organo deputato a tutto ciò.
D. Detto questo, in quale misura le nostre ambasciate stanno realmente svolgendo, come sarebbe auspicabile, un ruolo di ‘apertura’ e di raccordo con i paesi dell’ex Unione Sovietica nell’Est dell’Europa?
Razzi. Mi rendo conto che, in tema, non restano che domande retoriche. Questa ne è un esempio: La risposta è una misura che non serve allo scopo perché inefficace e priva di ogni iniziativa personale. I nostri diplomatici, parlo ovviamente degli italiani perché non so gli altri paesi come si comportino in casa loro, sono succubi in toto del ministro da cui dipendono al punto da formalizzare inutilmente anche il saluto quotidiano. Non parliamo poi della politica estera per quanto riguarda i paesi dell’ex Unione Sovietica dell’Est dell’Europa: in questo caso occorre pure il “placet” americano. Sintetizzo dicendo che il diplomatico, così com’è concepito, sembra un automa ben vestito e cortese sino allo spasimo cui non viene lasciata nessuna iniziativa importante. Guardi che la politica e i rapporti internazionali, secondo me, si intessono anche e soprattutto con le relazioni personali non solo con i protocolli mondiali sottoscritti in pompa magna. Più sostanza, meno formalismi ma diplomatici in gamba e non dipendenti da protocolli medioevali.
D. Molti imprenditori italiani si stanno rivolgendo ai paesi europei dell’Est per avviare attività in quelle aree: le ambasciate italiane, credo, dovrebbero costituire una “testa di ponte” e un punto di riferimento e di sostegno per le loro iniziative. Lei che cosa ne pensa?
Razzi. Che la Madonna accompagni e benedica sempre questi nostri concittadini volonterosi! Ma lei può essere sicuro che, salvando solo la pace di qualcuno, questi imprenditori di cui parla non hanno in realtà, attualmente, alcun supporto da parte di nessuna testa di ponte. Sono bravi e capaci, si fanno interpreti della quinta essenza dell’essere imprenditore, rischiano del proprio ed intraprendono con audacia nuovi rapporti e nuove piazze. Se poi una ambasciata non riesce a costituire nemmeno un punto di riferimento, allora, mi lasci dire, sarebbe proprio il caso di chiuderle tutte!
D. Un numero crescente di imprenditori lombardi e veneti stanno aprendo attività in Bulgaria e in alcuni altri Paesi UE dell’area balcanica: dalla Sua importante esperienza precedente, in qualità di riferimento istituzionale delle nostre ambasciate all’estero, quali sono le valutazioni e le considerazioni che ritiene di poter fare in merito?
Razzi. Ripeto, non può essere che positivo ma occorre che gli ambasciatori ed i loro staff, compresi i dirigenti degli Istituti del Commercio con l’Estero, cambino atteggiamento e siano non solo ricettivi di istanze ma propositivi e procacciatori di iniziative ed opportunità per i nostri imprenditori.
D. Almeno i pensionati italiani che si sono spostati all’estero per necessità di bilancio familiare, possono contare sull’appoggio e sul sostegno dell’ambasciata italiana nel Paese in cui si sono trasferiti?
Razzi. In primo luogo tanto di cappello a queste persone: hanno avuto coraggio e hanno fatto benissimo ad andare a vivere all’estero perché con quello che percepivano qui avrebbero fatto la fame mentre all’estero vivono dignitosamente e senza ansie. Poi, a prescindere da alcune ingiustificate critiche colpevolizzanti che sento provenire da alcune istituzioni del nostro Paese, non vedo aspetti negativi rispetto ad un fenomeno giustificabilissimo se consideriamo la pressione fiscale e il trattamento non proprio di riguardo a cui sono sottoposti i pensionati nel nostro Paese.
Certo, invece che criminalizzarli, o quasi, sarebbe più umano e opportuno che i nostri concittadini pensionati, di fatto costretti a emigrare all’estero, potessero godere di un fattivo sostegno riguardo a tutti i loro adempimenti burocratici connessi col loro Paese d’origine, che poi è il nostro, invece che essere considerati dei “furbetti” colpevoli e senza “patria”!
Come dicevo all’inizio, il personaggio Razzi è sempre stato piuttosto singolare e difficilmente inquadrabile. Tuttavia, senza di lui e senza la sua ruvida schiettezza, ci sentiamo più poveri, se non altro perché le cose, in questa nostra Italia, non stanno certo migliorando né dal punto di vista economico generale, né da quello riguardante il settore specifico e non trascurabile dell’”emigrazione all’interno della UE”.
Saranno sempre più, temo, “Razzi” nostri!
Roberto Timelli